Intervista a Vincenzo Parisi

Oggi pubblico l’intervista all’eccezionale pianista Vincenzo Parisi, che dal 22 maggio potrete ascoltare sul nuovo disco “ZOLFO” edito da Piano B Agency. 
Un ringraziamento al Maestro Parisi, che con cordialità ed entusiasmo ci ha concesso un po’ del suo tempo e ci farà conoscere di più del suo indubbio spessore e talento artistico!



1.     Presentati, raccontaci il tuo background personale e artistico
Mi chiamo Vincenzo Parisi, pianista e compositore. Fino ai 14 anni pensavo di fare il regista, poi ho conosciuto Irene Schiavetta, pianista con cui mi sono diplomato in conservatorio, e da quel momento ho capito che la musica sarebbe stata la mia vita. Successivamente, ho studiato con Massimiliano Damerini approfondendo il repertorio pianistico contemporaneo, e al Mozarteum di Salisburgo con Aquiles Delle Vigne, molto più filosofo, ricordo ancora le sue appassionanti lezioni sulla Sonata in Si minore di Liszt. Sul versante compositivo, devo molto a Fabio Vacchi e a Mario Garuti, col quale continuo a studiare in conservatorio a Milano. Nel mezzo, un viaggio bellissimo nel mondo del rock con una band incredibile che fondai nel 2011 e con cui ho fatto quasi 200 concerti in tutta Europa: i Kafka on the Shore.
           
2.     Raccontaci del tuo ultimo lavoro, com’è nato? Cosa rappresenta per te?
“Zolfo”, questo è il nome del mio primo album con composizioni originali per pianoforte solo. È un viaggio alla ricerca delle mie radici, che cerca di unire un’approfondita indagine sulla musica e la cultura siciliana con tutte le influenze che essa ha subito nel corso dei secoli (arabe, spagnole, sefardite, bizantine) al mio personale sentire di uomo e musicista contemporaneo. Non è un disco folk, perlomeno non nell’accezione comune del termine: le melodie degli antichi canti popolari siciliani, che ho scovato in trascrizioni dal ‘700 fino agli inizi del ‘900 e in registrazioni degli anni ‘50 di etnomusicologi come Alan Lomax e Diego Carpitella, sono intessute come in filigrana all’interno di un flusso di coscienza sonoro più tendente al minimalismo e post-minimalismo di matrice anglosassone. Prima di avventurarmi in terre musicali sconosciute, sentivo la forte necessità di conoscere i luoghi musicali da cui provengo.
3.     Quali sono le tue influenze musicali?
Amo il minimalismo americano: La Monte Young, Terry Riley, Steve Reich, Philip Glass, sono veri e propri idoli per me da quando ricordo, artisticamente e concettualmente. Ascolti più recenti, invece sono, quelli legati a John Adams, Arvo Pärt, David Lang e Louis Andriessen, a cui in particolare mi sento molto vicino per la forte valenza “politica” che conferisce alla pratica musicale. Non posso poi dimenticare Danny Elfman, del quale avevo trascritto a 16 anni parti delle musiche di “Nightmare before Christmas” quasi distruggendo la VHS dopo i mille “play and rewind” per riascoltare tutto, fotogramma per fotogramma e fissare le note sul pentagramma. Durante la scrittura del disco, ho ascoltato molto Radiohead e soprattutto Diamanda Galás, di cui devo la scoperta illuminante alla mia ragazza.
4.     Quali sono le tue attuali o passate collaborazioni musicali?
Grandi amici nel mondo della musica con cui ho avuto il piacere di collaborare sono Nicolò Carnesi, Gianluca De Rubertis, Chiara Castello, Lodo Guenzi, Francesco De Leo, Mattia Barro, Alan Rossi, il violinista Davide Laura. Attualmente collaboro stabilmente con Sandra Vesely, cantautrice eclettica di cui sicuramente si sentirà parlare molto in futuro, e di cui presto verrà pubblicato un EP di cui ho curato tastiere e synth.
5.     Raccontaci il tuo ultimo aneddoto o esperienza particolare durante la tua attività artistica, facci ridere o riflettere un po’
La mia ultima esperienza concertistica. In diretta streaming. Modalità abbastanza surreale perché la si possa definire concerto. Però allo stesso tempo grande senso di vicinanza con le persone che mi seguivano, da tutta Italia, un momento che mi ha molto emozionato, tanto più che ero solo da settimane a vagare in casa tra il letto e il pianoforte. E in più la possibilità di suonare in pantofole, aspetto non trascurabile. Poi però alla fine del concerto, come alla fine di ogni concerto ben fatto, hai l’adrenalina che ti scorre nelle vene e vorresti uscire a incontrare amici o parlare col pubblico… Ma ti accorgi che al massimo puoi andare in balcone, e l’adrenalina se ne rimane lì, come sospesa.
6.     I tuoi programmi per il futuro?
Sto ultimando la scrittura del secondo disco, che spero di registrare entro la fine dell’anno e che segue un concept non meno folle di quello “Zolfo”! A lunga scadenza, vorrei approfondire la direzione d’orchestra. Più a breve termine invece cercherò di imparare qualcosa di più sulla musica elettronica e i sintetizzatori, un mondo che mi affascina molto.
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